Il governo ha presentato alla Commissione Europea il nuovo PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’energia e il clima) ossia lo strumento, obbligatorio per tutti gli Stati membri UE, di previsione riguardo politiche e misure per il raggiungimento degli obiettivi climatici ed energetici al 2030. Il Piano italiano, presentato nel 2020 ed aggiornato una prima volta nel 2023, è stato oggetto di consultazione pubblica nel secondo trimestre del 2024 per poi essere infine presentato all’esecutivo comunitario nel mese di Giugno.
Tra i vari dossier che compongono il PNIEC, quello dedicato all’idrogeno sembra scattare una fotografia che rischia di sottostimare largamente i reali fabbisogni nazionali, tenuto conto della problematica relativa ai settori hard-to-abate, ossia quelli per cui una riconversione dai fossili appare ardua, e di quei settori (trasporti pesanti) in cui l’elettrificazione non è un’opzione efficace. Difatti, per l’Italia è stato stimato un consumo totale, da qui al 2030, di 0,252 milioni di tonnellate, di cui 0,115 milioni di tonnellate per utilizzi industriali e 0,137 per i trasporti.
Uno studio del Politecnico di Milano, tuttavia, ha evidenziato come questi settori abbiano bisogno di circa 7.5 milioni di tonnellate di idrogeno, in larga maggioranza per l’industria (5.4 milioni) e poi per la mobilità sostenibile (circa 2 milioni).
Appare dunque evidente come vi sia un delta molto evidente tra le diverse previsioni, specchio probabilmente del fatto che in Italia ancora non è stata pubblicata una strategia nazionale, fattore di incertezza non da poco.
Il rischio è quello di navigare a vista, senza essere coraggiosi e senza pianificare sul medio-lungo periodo, stante anche l’oggettiva non concorrenzialità dei prezzi dell’idrogeno verde rispetto a quelli derivanti da petrolio e gas (nonché rispetto ai fossili stessi) ostacolo alla strutturazione di interventi di un certo spessore, che necessiterebbero estesi interventi di sostegno pubblico, ed il mancato indirizzo per quanto riguarda la strutturazione di una filiera nazionale che faccia capo ad una configurazione ben delineata (hydrogen valleys, produzione centralizzata, produzione decentrata, etc.), potenziale fattore di debolezza per quanto riguarda la capillarità della svolta legata all’idrogeno.
Idrogeno verde, bio-idrogeno, idrogeno da estrazione sono tutte tipologie di idrogeno (diverse da quello grigio) su cui l’UE punterà molto, in particolar modo la prima, legata all’elettrolisi (e anche su questo aspetto l’Italia arranca, con pochi progetti sugli elettrolizzatori, e come detto con pochi incentivi), e la seconda, che ha il pregio non solo di evitare il ricorso a fonti inquinanti ma, derivando dalla lavorazione delle biomasse, concorre alla riduzione dei gas serra immessi in atmosfera, con un duplice effetto positivo (ma deve superare la concorrenza del biometano).
Dunque, appare chiaro come il futuro dell’idrogeno in Italia passi da maggiori incentivi, definizione di una strategia concertata a livello nazionale e più progetti di elettrolizzatori, per combattere il caro prezzi dell’idrogeno verde, la mancanza di infrastrutture e costruire una vera filiera.