Nella giornata di ieri, il Parlamento UE era chiamato a votare su di una risoluzione presentata a valere sulla proposta della Commissione europea in merito all’introduzione della nuova tassonomia green, ossia l’elenco esaustivo delle attività considerate compatibili con gli obiettivi di decarbonizzazione (che prevedono un’UE climaticamente neutra entro il 2050) e che potranno ottenere dunque l’etichettatura verde assegnata da Bruxelles.
Nello specifico, la risoluzione su cui si è votato nell’emiciclo proponeva di respingere il lavoro elaborato dall’esecutivo UE, che tra molte polemiche (trasversali in senso nazionale, ma ben delineate considerando gruppi e fronti politici) aveva introdotto nell’elenco delle attività considerate sostenibili e dunque finanziabili con investimenti pubblici e privati, in un’ottica di transizione, anche quelle legate al comparto della produzione di energia derivante da gas e nucleare, seppure a ben determinate condizioni:
• Per quanto riguarda le centrali a gas, sarebbero rientrate nell’elenco solo quelle costruite entro il 2030, e per sostituire impianti a carbone o petrolio in un Paese con chiari impegni politici a intraprendere la transizione. Al contempo, era specificato che si doveva provvedere, entro il 2035, alla sostituzione di gas di origine fossile con gas naturali (ad esempio, derivanti da biomasse);
- • Gli impianti nucleari avrebbero dovuto utilizzare le tecnologie più avanzate possibili (al momento, rappresentate dalla quarta generazione di reattori) e prevedere precisi piani di smaltimento delle scorie, oltre a sostituire anch’essi le centrali a carbone.
Alla fine, hanno prevalso i no, con 328 eurodeputati che hanno votato in senso contrario, mentre 278 sono stati i favorevoli (la soglia richiesta per l’approvazione della mozione e dunque la bocciatura della bozza della Commissione era di 353 deputati).
Ora, l’iter della proposta continua, anche se il Consiglio ha ancora l’opportunità di respingere il documento, pur se i tempi sono abbastanza stretti (occorre che si pronunci entro l’11 Luglio) ed è richiesta una maggioranza abbastanza compatta, di 20 Paesi membri (sui 27 che formano l’UE) che oltretutto rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione (ossia, circa 290 milioni di abitanti), mentre varie associazioni ambientaliste preannunciano ricorsi con l’intenzione di indurre la Commissione a modificare il documento, non nascondendo la propria delusione e paventando addirittura ricorsi alla Corte di giustizia dell’UE.
È bene ad ogni modo ricordare che l’elenco tassonomico non fa sorgere alcun obbligo in capo agli Stati membri, né alle imprese, ma rappresenta un insieme di considerazioni che tracciano in maniera evidente la strada verso il cambio di passo in tema di sostenibilità ambientale a livello comunitario: le attività non considerate compatibili con l’etichettatura green non saranno vietate, risulteranno semplicemente meno appetibili agli occhi degli investitori, istituzionali e non, in quanto non considerate futuribili, a livello tecnico e socioeconomico.