La Commissione Europea ha reso noti gli orientamenti che guideranno l’azione politico-economica del secondo esecutivo Von der Leyen, in carica fino al 2029.
In un contesto caratterizzato da forti turbolenze politiche a livello internazionale – con aree di crisi in Europa orientale e Medio oriente, ed inoltre la cronica instabilità del continente africano e un punto interrogativo su Taiwan a completare un quadro a tinte fosche – e da profondi mutamenti nelle architetture socioeconomiche e delle relazioni globali, in primis la corsa all’AI e lo scontro ormai a tutto campo tra USA e Cina per un predominio non semplicemente economico ma politico-culturale, che includa la ridefinizione dei paradigmi che regolano i rapporti tra le nazioni (con la Russia sempre in cerca di un posto al sole), l’Unione Europea cerca di superare delle difficoltà che sembrano ormai affliggerla in maniera strutturale.
I ritmi sono ormai serratissimi, i problemi (noti) non sono stati risolti, e con il ritorno di Trump alla Casa Bianca aumentano le variabili che rischiano di definire un futuro che potrebbe vedere l’UE come coccio di terracotta in mezzo a vasi di ferro. Gli elementi che appesantiscono l’azione europea sono stati più e più volte evidenziati, in ultimo dai lavori di Enrico Letta e Mario Draghi: in particolare, quest’ultimo ha sottolineato come occorrano ingenti investimenti per recuperare il gap della produttività, abbattere i costi dell’approvvigionamento energetico, semplificare gli adempimenti burocratici delle imprese, sviluppare un vero mercato unico e una difesa comune adeguata.
Molti di queste criticità sono state fatte proprie dalla Commissione, che ha evidenziato come occorra lavorare soprattutto sulla competitività del sistema Europa, a partire dal mondo imprenditoriale.
In tale ottica, Bruxelles ha definito tre obiettivi da raggiungere quanto prima:
- 1. Continuare nell’attuazione della decarbonizzazione (anche al fine di abbassare i costi dell’energia);
- 2. Innalzare il tasso di innovazione delle imprese;
- 3. Aumentare la sicurezza anche attraverso il decremento delle dipendenze europee (energia, materie prime critiche, difesa, etc.)
Il primo punto vorrebbe essere una sintesi tra le spinte dei conservatori europei, coadiuvati dalle federazioni industriali e dagli imprenditori, che premono per una rimodulazione/superamento degli schemi del Green Deal (che ricordiamo fu proprio la prima Commissione Von der Leyen a varare) e le preoccupazioni dei progressisti e delle associazioni del terzo settore (e in parte i sindacati) che si proceda con lo smantellamento delle politiche di sostenibilità socio-ambientale e si faccia un passo indietro sulla strada che porta agli obiettivi di contenimento e lotta al cambiamento climatico. Rimane da capire come l’esecutivo procederà ad affrontare le problematiche caroprezzi energetici/lotta all’inquinamento, che sembrano essere antitetiche ma potrebbero trovare una quadra. Intanto, l’esecutivo ha definito una road map con l’implementazione, tra gli altri, del Clean industrial deal (per decarbonizzare il settore industriale), dell’Affordable energy action plan (per tenere sotto controllo i prezzi) e dell’Industrial decarbonisation accelerator act (per supportare le imprese durante la transizione).
Per quanto riguarda l’innovazione, da tempo stiamo assistendo ad un totale sconvolgimento dei rapporti di forza nella manifattura, dovuto essenzialmente alla rivoluzione economica che ormai ha fatto entrare le società nel pieno di una nuova ondata tecnologica, che supera quella dell’informazione e della comunicazione per approdare sui lidi dell’intelligenza artificiale, delle bio e nano tecnologie applicate alla produzione e alla medicina, al cloud computing e ai computer quantistici. Bruxelles riconosce che l’Europa, ad oggi, risulta essere indietro su tutto; liberare il potenziale europeo, permettendo di recuperare terreno nei settori deeptech (esemplificativi sono le previsione dei decreti su AI, il quantum act, l’atto per i materiali avanzati e quelli per le biotecnologie e per lo spazio) ma anche a quelle industrie manifatturiere che fino a prima del Covid erano il fiore all’occhiello del continente (ad esempio quella automotive) è più che un traguardo da raggiungere, è una questione di sopravvivenza, per evitare che l’Europa diventi un semplice luogo di scambio merci prodotte altrove, o al massimo un mercato di assemblatori di tecnologie e prodotti extracomunitari. In ottica competitività in senso strettamente giuridico, invece, destano particolare interesse la “Revisione delle Linee Guida sul Controllo delle Fusioni Orizzontali” nonché l’intenzione dell’UE di istituire un 28° regime giuridico, che includa gli oneri fiscali, fallimentari, societari, tributari, del lavoro, cui potranno adeguarsi le singole imprese: questo permetterà alle stesse di essere automaticamente in regola ovunque nei Paesi membri, senza dover procedere ad aggiustamenti particolari per poter operare oltre frontiera.
Infine, la sicurezza: tema che a partire dall’invasione russa dell’Ucraina ha evidenziato sempre più le carenze europee per almeno tre motivi.
La dipendenza dalle forniture russe di gas (e in misura minore petrolio) ha sottolineato il potere di ricatto che un eventuale Paese terzo aggressivo può avere sull’Unione; sostituire un fornitore con altri – anche se amici come gli USA – come è stato fatto negli ultimi tre anni, non fa altro che spostare il problema. Occorre potenziare le rinnovabili, aumentare l’efficienza della produzione, della mobilità, dell’edilizia in modo tale che diminuisca il fabbisogno, aprire al nucleare di nuova generazione.
La dipendenza dai sistemi di difesa americani, intesi come armamenti, capacità strategica, informatica ed elettronica, spazio, rende evidente che l’UE non solo non sia in grado di affrontare minacce – sia fisici che digitali – né su larga scala né locali, provenienti da nemici più o meno lontani, ma anche che sia totalmente subalterna al volere del potente alleato: nel caso di raffreddamento dei rapporti, o divergenza di obiettivi/opinioni, è l’Europa a uscirne indebolita, non certo gli USA.
La dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche (terre rare, ma anche litio e cobalto) rende poi deboli potenzialmente le capacità produttive europee nei settori a più alto valore aggiunto di conoscenza, che sono quelli maggiormente remunerativi e risultano anche al giorno d’oggi strategici, e considerata la predominanza della Cina sia nella produzione che nella lavorazione dei materiali suddetti, vi è anche qui un potenziale rischio ricatto.
La Commissione ha dunque chiaro come sia necessario un deciso cambio di rotta, sia nelle politiche che nella definizione degli obiettivi, e ha definito cinque attuatori trasversali che possano supportare l’attuazione dei tre pilastri summenzionati:
- 1. Semplificare la burocrazia, specie per le imprese;
- 2. Supportare il coordinamento delle politiche tra livello comunitario e nazionale
- 3. Completare il mercato interno eliminando le barriere ancora esistenti;
- 4. Finanziare la competitività;
- 5. Promuovere le competenze del futuro;
Sul primo punto, si sta definendo un decreto c.d. Omnibus, che dovrebbe vedere la luce entro la primavera, e che conterrà una serie di semplificazioni che dai calcoli degli esperti dovrebbero garantire alle imprese risparmi per oltre 37 miliardi di Euro.
Per quanto attiene il mercato interno, la priorità è completare l’Unione dei capitali, in modo tale da permettere la circolazione dei notevoli fondi privati che finiscono per essere investiti negli USA a causa della parcellizzazione dei mercati europei, incapaci di assorbirli efficacemente. Aumentare gli investimenti dei privati consentirebbe di provare a recuperare quel gap che separa le aziende europee dalle concorrenti americane e cinesi, che possono contare su finanziamenti notevoli (privati ma anche pubblici, specie nel caso di Pechino).
Gli sforzi poi saranno diretti al supporto delle competenze dei lavoratori, al fine di garantire la diffusione di lavori altamente qualificati ed in linea con i maggiori trend tecnologici.
Il coordinamento delle politiche comunitarie con quelle nazionali intende poi evitare che gli Stati membri perseguano obiettivi separatamente, annoso problema che ha zavorrato la crescita dell’Unione durante tutta la sua esistenza.